Quei tedeschi di Pompei

Alberto Krali
Per evitare che «sia seppellita una seconda volta». Così i tedeschi vogliono salvare Pompei e sul sito della Technische Universität di Monaco di Baviera annunciano il loro progetto. In collaborazione con il Fraunhofer, il centro di ricerca tra i più avanzati in Europa, e l’Istituto di Fisica delle costruzioni di Stoccarda, si cercano 10 milioni per sponsorizzare l’intervento di recupero, con metodi hightech, del più grande sito archeologico mondiale. Così mentre la casa di Obellio Firmo viene danneggiata dai vandali, i tedeschi si muovono per salvarla.

Dice Salvatore Settis, docente di archeologia classica della Normale di Pisa: «Ben vengano gli stranieri se portano qualità e denaro». Ragionamento che non fa una grinza se applicato per esempio alle piramidi. Ma appunto per Paesi del cosiddetto terzo mondo, che non hanno tradizioni in senso archeologico.

Ecco, l’Italia è sul crinale. Non è capace di provvedere a se stessa e di valorizzare quello che per il Paese non è solo una memoria identitaria ma una risorsa economica per il turismo. Se Napoli non riesce ai provvedere ai suoi rifiuti si può pensare che lo possa fare per la sua storia? Se la città deperisce nell’ignavia e soprattutto nell’incuria, possiamo ragionevolmente sperare che siano gli altri a trarci d’impaccio?

L’esempio tedesco direbbe di sì. Non sono i soldi che contano, se poi non si è in grado di gestirli. Solo agli stranieri riesce . Ma non facciamoci illusioni, il conto lo pagheremo con la perdita di sovranità. Perché o si comanda o si serve.

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