Oktoberfest goes green

 

Complici una serie di imprevisti, nel corso del weekend appena passato ho fatto una veloce tappa all’Oktoberfest, a Monaco di Baviera.

 

Chiunque sia stato all’Oktoberfest non può non aver notato i numeri: nel giro di quattro settimane, tra Settembre e Ottobre, Monaco di Baviera riceve quasi sei milioni di turisti. Non è difficile immaginare il sovraccarico dal punto di vista dei condotti fognari, del consumo energetico, dell’accumulo dei rifiuti e via discorrendo. Nella vasta spianata dove per poco più di un mese si festeggia a suon di birra l’arrivo dell’autunno, tutto è immenso. I tendoni sono immensi, i boccali di birra sono immensi, le strade sono immense. Ed immensa è la folla. E siccome la folla è immensa, lo è anche la mole dei rifiuti.

Così mentre passeggiavo tra i tendoni, rapita dal profumo dei Butterbreze, dei cuori di panpepato e del luppolo fermentato, distratta dalle giostre, dalla musica e dai canti mi sono chiesta: ma è possibile che la Germania, attenta com’è all’aspetto ecologico del vivere, non faccia nulla per evitare inutili sprechi in occasione di eventi come questi?

In effetti al mio rientro ho scoperto che l’Oktoberfest di Monaco è da ormai diversi anni un esempio virtuoso per chiunque desideri organizzare grandi eventi con un occhio di riguardo all’ambiente. L’Ufficio del Turismo di Monaco di Baviera, in qualità di organizzatore dell’evento, ha sviluppato insieme ad altri enti cittadini una complessa strategia per ridurre le sue (inevitabili) ripercussioni negative sull’ambiente. Una strategia vincente, se si pensa al fatto che già nel 1997 la Città di Monaco è stata insignita di un prestigioso premio nazionale pensato apposta per incentivare la progettazione eco-friendly dei grandi eventi.

Una progettazione che – nel caso dell’Oktoberfest – non riguarda soltanto il “dopo”, ma anche e soprattutto il “prima”.

Al Wiesn infatti una regola fondamentale è quella che riguarda, a monte, la selezione degli espositori: dal 1995 chiunque voglia essere presente con la propria attività deve sottostare ad un meccanismo a punti per l’assegnazione dei permessi che tiene conto anche dell’affidabilità ecologica del candidato in termini di utilizzo di energia alternativa, di contenimento degli sprechi, di riutilizzo delle risorse. Insomma, chi vuole garantirsi uno spazio all’evento più importante dell’anno deve dimostrare di aver pensato anche all’ambiente; c’è quindi chi utilizza l’energia solare per far funzionare le lavastoviglie o riscaldare l’acqua, chi illumina la notte con i led, chi trova il modo di riutilizzare le acque grigie, chi si adopera per trattare al meglio i propri scarti alimentari, chi garantisce la sostenibilità di trasporti e imballaggi. Insomma, in un modo o nell’altro tutti gli attori dell’Oktoberfest sono costretti – volenti o nolenti – a prendere coscienza dell’impatto ambientale della propria attività e ad impegnarsi per minimizzarlo.

A valle della selezione vi sono poi tutte le misure inerenti alla gestione globale dell’evento: dall’imposizione dell’utilizzo di stoviglie lavabili (una scelta che risale al 1991) al sistema delle cauzioni (che riduce drasticamente la percentuale di piatti e bicchieri rotti o abbandonati), dalla raccolta differenziata effettuata sul posto al controllo quotidiano della stessa, dall’utilizzo dell’acqua delle lavastoviglie negli scarichi delle toilette all’utilizzo estensivo di energia ricavata da sorgenti alternative. E così via.

Al “durante” si lascia invece il piacere del divertimento, della birra bavarese e del buon cibo, generalmente locale e proveniente da aziende biologiche certificate.

L’impatto di un evento come l’Oktoberfest non è certo irrilevante, questo è sicuro. Ma se non altro – penso tra me e me – è un impatto inferiore a quel che credevo, laddove invece è sempre più forte la consapevolezza da parte di chi a questi eventi prende parte, sia come organizzatore che come consumatore.

 

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