Caso Gurlitt, verrano restituiti i capolavori razziati dai nazisti

BERLINO. Ci aveva provato George Clooney con il suo film “The Monuments Men” a ricostruire le torbide tresche fra nazionalsocialisti e mercato dell’arte, ma poi era riuscito solo ad insistere sul ruolo salvifico degli Alleati, preoccupati dei 1500 depositi di arte razziata creati nel territorio del Terzo Reich per ammassare capolavori depredati in mezza Europa e sottratti soprattutto ad ebrei. Molti erano destinati al Museo del Führer, da erigere a Linz. Altri, alle collezioni personali dei gerarchi, Göring in testa. Ma le opere d’arte erano anche un ottimo modo per far cassa in valuta straniera e finanziare i piani ciclopici di Hitler. Così 50 mercanti scelti scorrazzavano per il Vecchio continente, piazzando tele e disegni, acquerelli e sculture. Fra questi, anche Hildebrand Gurlitt, rampollo di una famiglia assai nota nel mondo tedesco della cultura e delle arti. Fu lui uno dei 4 incaricati di scegliere e rivendere quanto arraffato nella Parigi occupata, un’attività che lo arricchì anche del frutto non proprio secondario di una propria, cospicua collezione, con opere di Monet e Matisse, Max Liebermann e Edvuard Munch. Del resto Hildebrand era stato anche gallerista e direttore di musei, e conosceva alla perfezione non solo l’arte moderna e contemporanea, ma anche tanti artisti.

Contrariamente a quanto affermò, la sua collezione non venne distrutta da un bombardamento durante l’ultima fase della guerra: poté trarla in salvo in Baviera. Dove rimase fino al 2012. Dopo la sua morte infatti, il figlio Cornelius gli subentrò come custode segreto in quel di Monaco, se si eccettua un piccolo ma non indifferente addentellato di un paio di centinaia di opere, trovate in una dimessa casetta nella stessa periferia di Salisburgo dove aveva avuto dimora anche Karajan.

La “scoperta” del tesoro bavarese avvenne ufficialmente un anno fa, quando la rivista Focus la rese pubblica a caratteri cubitali. In realtà le 1280 opere di Monaco erano già state sequestrate un anno e mezzo prima, in seguito ad un mero controllo fiscale, ma le autorità avevano evitato di diffondere la notizia, forse perché in mancanza di una legge sulla restituzione di opere d’arte, la base legale di quel sequestro era zoppicante.

Una volta lacerato il velo che custodiva il tesoro, è cominciato un lungo iter, che ha portato a convincere Cornelius della necessità di restituire quando depredato dai nazisti. L’accordo che ne è derivato ha reso possibile l’istituzione di una commissione per fare luce sulla provenienza, e ha impegnato non solo Gurlitt, ma anche i suoi eredi, al rispetto delle varie clausole. Una mossa che si è rivelata importante, visto che Cornelius è morto il 6 maggio scorso, all’età di 81 anni, lasciando tutti i propri beni al Kunstmuseum di Berna.

L’istituzione elvetica si è tuttavia presa sei mesi di tempo per decidere se accettare quel tesoro maledetto e carico di conseguenze: per esempio lunghe e costose cause di restituzione.

Ora però un accordo tra stato federale tedesco, Baviera e Svizzera ha quadrato il cerchio, con grande soddisfazione di tutti gli attori di questo giallo dai risvolti critici dal punto di vista etico. In un’affollata conferenza stampa a Berlino, il presidente del Kunstmuseum, Christoph Schäublin, ha dichiarato di accettare l’eredità, ma ha specificato che «nessuna opera d’arte razziata varcherà la soglia del museo o toccherà il suolo elvetico». Sarà infatti la Germania a incaricarsi sia del gravoso impegno, sia dei costi di accurate ricerche sulla provenienza. Le opere dichiarate razziate, verranno restituite «senza se e senza ma», come ha detto il ministro della cultura tedesco, Monika Grütters. Quelle «pulite» però, verranno appese a Berna e verranno prestate prioritariamente a musei tedeschi, austriaci e polacchi. Perché circa 500 di esse sono ascrivibili a quegli artisti che i nazisti dichiararono “degenerati” e oggi hanno quotazioni da capogiro. Tutti felici dunque. Tuttavia, come ha fatto notare il ministro bavarese alla giustizia, Winfried Backbaus, a sett’anni di distanza da quei misfatti, la Germania non ha ancora una legge sulla restituzione.

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