MONACO DI BAVIERA – Nel processo in corso a Monaco di Baviera contro un presunto membro e quattro fiancheggiatori della cellula terroristica neonazista Clandestinità nazionalsocialista (NSU), un procuratore pubblico del canton Berna ha deposto riguardo all’arma utilizzata per l’uccisione di nove immigrati, otto turchi e un greco, tra il 2000 e il 2006. Il magistrato ha confermato che la pistola di tipo “Ceska” era stata acquistata legalmente da due commercianti d’armi svizzeri e successivamente rivenduta. Passata apparentemente nelle mani di altri due svizzeri (che negano) è arrivata ai terroristi per vie non ancora del tutto accertate.
Secondo la Procura di Monaco la cellula NSU (Nationalsozialistische Untergrund) era composta di tre soli membri: Uwe Mundlos, Uwe Böhnhardt e Beate Zschäpe. La 39enne neonazista è la sola superstite. I due complici si sono infatti suicidati il 4 novembre 2011, dopo una rapina fallita ad una banca, per non essere arrestati. La donna è processata a Monaco dal 6 maggio 2013, insieme a quattro presunti fiancheggiatori di estrema destra.
Per diversi anni il terzetto aveva potuto “operare” indisturbato grazie agli errori degli investigatori, i quali non hanno mai tracciato una linea in grado di unire quelli che la stampa aveva ribattezzato “omicidi del kebab”, avvenuti tra il 9 settembre 2000 e il 6 aprile 2006.
Nessuna tra le autorità tedesche aveva infatti pensato di indagare su un eventuale sfondo razziale per gli omicidi di otto cittadini turchi e un greco uccisi a colpi di pistola, sempre la stessa, una Ceska 83 calibro 7,65. Indagati erano stati, invece, parenti e amici delle vittime, sospettati di essere implicati nel giro della criminalità di origine straniera. All’NSU è attribuita anche l’uccisione, il 25 aprile 2007, di una poliziotta ma in questo caso è stata utilizzata un’altra arma.
Il processo NSU è giunto oggi alla 148esima giornata di udienze. Ieri davanti all’Oberlandesgericht di Monaco aveva deposto anche un funzionario della polizia giudiziaria del canton Berna. La sua testimonianza non aveva però consentito di fare maggiore luce sul percorso fatto dalla Ceska dalla Svizzera fino a Jena, nel Land ex tedesco-orientale della Turingia, dove la pistola è finita nelle mani di Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt.
È invece stato accertato che la pistola è stata acquistata presso il produttore nella Repubblica ceca da un commerciante d’armi svizzero, che l’ha poi rivenduta a un altro armaiolo elvetico. Questi a sua volta l’avrebbe spedita a un privato, egli pure svizzero, che l’avrebbe prelevata in posta e avrebbe pagato la fattura allo sportello. Il cliente in questione ha negato ogni addebito, ha detto in tribunale l’inquirente bernese, come ha negato un altro cittadino svizzero che da lui avrebbe in seguito ricevuto la pistola.
Quest’ultimo ha vissuto due anni in Turingia ed era amico di un amico di gioventù di Uwe Böhnhardt. L’inquirente bernese ha spiegato come sia stato difficile interrogare l’uomo, che ha sempre invocato vuoti di memoria riguardo a diversi acquisti e rivendite di armi effettuati.
Una difficoltà confermata oggi dal procuratore: interrogati separatamente i due si sono contraddetti fra loro e anche in un confronto diretto hanno mantenuto le rispettive versioni. Il primo ha detto di aver ricevuto un pacco da un commerciante di armi e di averlo consegnato al secondo senza aprirlo. Questi ha negato di averlo ricevuto. Il procuratore ha affermato tuttavia di credergli poco, ha citato i suoi contatti a Jena e ha detto di sospettare che abbia portato più volte altre armi in Germania.
Nel gennaio 2013 la Procura dell’Oberland bernese, reagendo ad articoli di stampa, aveva confermato l’archiviazione delle indagini contro uno dei due svizzeri – temporaneamente arrestati nel gennaio e nel febbraio 2012 – sospettati di aver contribuito a procurare la pistola utilizzata per gli omicidi della NSU. Il procuratore titolare aveva aggiunto che l’indagine contro il secondo indiziato era ancora in corso, ma che non sapeva se si sarebbe giunti ad un’accusa nei suoi confronti. Il sospetto di sostegno ad organizzazione criminale non si era confermato nel corso dell’indagine, aveva precisato.
I due erano stati invitati a deporre al processo ma non hanno accettato di recarsi a Monaco. Sono stati dunque interrogati in patria lo scorso giugno da un procuratore del canton Berna e – stando a quanto allora riferito dall’agenzia di stampa tedesca Dpa – hanno negato di essere venuti in possesso della pistola.
Ats Dpa