Mein Kampf, bibbia del nazionalsocialismo, è di nuovo sugli scaffali delle librerie, tedesche e non. Dopo settant’anni. Gli Alleati, infatti, affidarono l’esclusiva dei diritti d’autore al Land della Baviera, con l’espressa consegna di non ridarlo alle stampe. Avrebbero desiderato relegarlo nell’oblio del maremagnum librario, per l’eternità. Un libro maledetto. Pericoloso. La normativa sul copyright ha concesso solo una manciata di decenni. Rieccolo, quindi.
La notizia è stata sbandierata ai quattro venti con la solita modalità da strilloni di strada, con tanto di sondaggi lanciati dai mass media sull’opportunità, o meno, di acquistarlo.
Il reale peso storico del libro mi pare che poco interessi, non fa notizia, e costringe a leggere qualche riga in più, di un semplice titolo di giornale buttato lì. Ne vale decisamente la pena però.
Andiamo per ordine. “La Mia Battaglia” è stato scritto durante la confortevole detenzione di Adolf Hitler nel carcere-resort di Landsberg (per una pena comminatagli in seguito al fallito Putsch del 1923) dall’amanuense Rudolf Hess, sotto dettatura (non dittatura, quella viene dopo) del Fuhrer; rapito da wagneriana trance.
Il risultato della metafisica ispirazione del nibelungo non è assolutamente all’altezza della temibile fama di cui gode il best seller, tuttavia. Il “Mein Kampf”, infatti, è sì uno dei libri più venduti nella storia tedesca, ma anche dei meno letti. Durante i dodici anni del Terzo Reich ne sono state vendute decine di migliaia di copie. Pochissimi lo lessero però. Il potere ipnotico esercitato sulle masse dal partito nazista si basava su tutt’altro. Geniali furono le intuizioni di Attila Imbianchino (irresistibile nomignolo affibbiato da D’Annunzio al Fuhrer). La spettacolarizzazione della politica su tutte. Sotto questo punto di vista è stato indubbiamente un innovatore. Raduni oceanici, inni, bandiere, enormi statue, potentissimi fari puntati al cielo; il tutto diretto dalla magistrale regia dall’architetto Albert Speer. Questi, i reali punti di forza che hanno esaltato e conquistato le masse.
Il Mein Kampf insomma svolgeva la funzione di mero soprammobile di cellulosa, da esibire in casa. Niente di più. Anche i fanatici del messianesimo nazionalsocialista ne avevano letto, nella migliore delle ipotesi, solo i punti salienti. Il testo del resto è soporifero. Sembra più la trascrizione del verbo di Morfeo, il dio del sonno, che del dio Thor. Lo comprai alcuni anni fa (ovviamente è stato stampato in italiano in barba al divieto) e lo ricordo con piacere come ottimo rimedio naturale contro l’insonnia. Un protosonnifero.
Tornando al clamore seguito alla ristampa ho notato che una dei titoli ad effetto più gettonati è stato: “Il Mein Kampf va a ruba, esaurita in un giorno la prima edizione!”. Oddio. Sono tornati i nazisti!
Non proprio. Si da il caso che si parli di quattromila copie su una popolazione di ottantatre milioni di abitanti. Una ogni ventunomila persone. A Berlino, quindi, ne sono state vendute…165 copie (!).
Ben più allarmante ai miei occhi è il risultato di uno studio sul tema condotto dal Prof. Schroeder della Freie Universitat di Berlino, che ha portato alla luce un dato sconcertante. La metà degli studenti liceali tedeschi non ha la più pallida idea di chi fosse Adolf Hitler (un terzo pensa addirittura a un protettore dei diritti umani). Come il dittatore nord coreano per il senatore Razzi, per capirsi.
Non lasciare andare le giovani generazioni verso una deriva nichilista, ma educarle al dialogo, mi sembra la sola via per scongiurare il ripetersi di quello che Camus definì: il regno delle bestie. I libri, da soli, non hanno mai ucciso nessuno.
Paolo Sebastiani, avvocato (nessuno è perfetto!), accanito bibliofilo; ama la Storia, che approfondisce insieme a Winston, il suo bulldog inglese. Conduce Elzeviro, trasmissione in onda ogni lunedì alle 21 su Tvr Più (Canale 13 Digitale Terrestre) e Black Baccara, in onda su Radio Rosa tutti i mercoledi alle 21.