Schinkel, che abbondanza

Nel 1832 Otto di Baviera fu eletto re della nuova Grecia uscita vittoriosa dalla guerra di indipendenza dagli Ottomani e due anni dopo Karl Frederich Schinkel (1781-1841) – architetto alla corte di Prussia – disegnò per lui un grande palazzo da erigersi sull’Acropoli di Atene, proprio alle spalle dei resti del Partenone. Il disegno rimase sulla carta, consumato dalla sua utopica ambizione: lungi dall’essere tuttavia un segno della sottomissione alla Germania della nuova nazione, testimoniò la soggezione tedesca al mito del classicismo mediterraneo. Capita dunque in un momento storico particolare la grande mostra che il Kupferstichkabinett di Berlino dedica all’architetto che più di tutti ha conformato l’immagine neoclassica della capitale prussiana e non a caso è diventato – dopo la riunificazione – il soggetto ricorrente del tipico morbo tedesco della nostalgia. Proprio di fronte alla sua opera più famosa, l’Altes Museum, infatti, da pochi mesi la Homboldt Box – una scombiccherata costruzione in vetro e cemento – ospita il centro d’informazione per la ricostruzione ex novo del palazzo reale e della Bauakademie (la scuola di architettura fondata e costruita da Schinkel) in modo da far riemergere dagli «errori» del recente passato l’«armonia perduta» della grazia neoclassica. Non c’è nostalgia però nella mostra organizzata con cura filologica e grande attenzione storica dagli esperti del progetto «Schinkel’s Legacy» che da anni sta lavorando alla digitalizzazione, conservazione e studio degli oltre 5mila disegni quadri, guaches e incisioni dell’architetto-artista, a breve consultabili anche in rete. Un progetto scientifico dunque che conferisce una grande solidità all’esposizione, riportando la figura di Schinkel nel quadro della cultura europea del XIX secolo di cui fu senza dubbio uno dei grandi ispiratori e certamente uno dei maggiori creatori di identità. Non può sfuggire infatti ai visitatori il nodo di una questione che oggi appare purtroppo dibattuta solo nella sua riduzione economica, ma da cui invece si dovrebbe ripartire per affrontare in maniera più comprensiva: il tema della identità europea e i mutui debiti contratti dalle singole nazioni nella costruzione dei propri miti di unificazione e di progresso.

Se la Berlino di Federico Guglielmo fu lo scenario fisico della sua prodigiosa attività di architetto e di soprintendente alle costruzioni, il teatro del suo pensiero sconfinava dagli angusti confini della Prussia in una visione che guardava alla completezza del mondo classico come una guida e un’ideale. Berlino era metafora e caso studio di una teoria illuminista del paesaggio urbano che pensava la città come luogo della vita politica e sociale, unione di arte e cultura in virtù di un primato spirituale legato al progresso borghese. Quest’ideale non poteva trovare le sue radici nell’arido terreno del militarismo prussiano: c’è il sogno della Grecia come culla dell’umanità dietro la triangolazione possente dell’Altes Museum, del Corpo di Guardia sull’Unter der Linden, del Teatro Nazionale (la Shauspielhaus in Gendarmenmarkt) che ancor oggi concretizzano plasticamente la sua idea della nuova Berlino.

Ma Schinkel non visitò mai la Grecia. Fu però uno dei primi viaggiatori a scoprire il fascino della Magna Grecia nei suoi tre viaggi in Italia, nel 1803, nel 1824 e nel 1830. L’Italia del Sud era quanto di più vicino si potesse toccare con mano dell’eredità greca: Taormina, Catania, Agrigento, Siracusa; e poi Napoli, naturalmente, dove si fece ritrarre dall’amico Catell in una stanza d’albergo con accanto un vaso greco (esposto in mostra accanto al quadro) sullo sfondo sereno del Golfo. Il paesaggio italiano, con la sua inimitabile fusione di archeologia, architettura, natura fu la scoperta di una monumentalità non legata all’esemplarità del singolo manufatto, ma anzi espletata in una versione per così dire «domestica», quotidiana, che non precludeva alla vita di rivendicare i suoi diritti sulla magnificenza del passato ma lo inglobava in un’esperienza che continuamente si rinnovava. Così, quando si trovò a costruire la residenza del principe ereditario nel parco barocco di Sans Souci a Postdam, prefigurò la visione della casa borghese come la declinazione nobilitata di quelle case rustiche che aveva ammirato a Siracusa e riprodotto in tanti suoi disegni. L’esempio più perfetto si può ammirare a Charlottenburg, dove accanto al castello costruì per Federico Guglielmo III il piccolo padiglione estivo noto anche come la «casa napoletana». Un parallelepipedo dalle proporzioni perfette, che fu poi – insieme ad altri suoi progetti – fonte d’ispirazione per il classicismo moderno di Mies van der Rohe: la sua assenza di vistose decorazioni, la grazia modesta degli interni accompagnata alla serena funzionalità degli arredi da lui stesso disegnati, ne fecero il prototipo di quell’austero ma composto stile di vita borghese che segnerà la fine dell’assolutismo barocco aprendo la porta alla classe sociale degli intellettuali, degli imprenditori e delle professioni.

Attraverso le nove sezioni in cui si dipana la ricostruzione della figura umana e professionale dell’architetto, la mostra ci introduce con chiarezza ed esattezza inusuali di questi tempi nel crogiolo di un’epoca che vediamo nascere sotto i nostri occhi, in bilico tra il vecchio mondo delle corti e il palcoscenico della moderna Europa dell’industria, dei commerci, delle scoperte scientifiche. È sorprendente osservare come nella fase più acuta di meccanizzazione industriale, Schinkel ritenne che un nuovo equilibrio non potesse prescindere dalla considerazione della storia e dall’apporto vivificante della poesia. Lo spread culturale faceva allora pendere la bilancia del dare sulle sponde di quel Mediterraneo oggi ritenuto soltanto un peso al pieno dispiegamento dell’economia mondiale.

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