Norimberga, un gioiello forgiato dalla storia

Ci sono luoghi dove la storia lascia le sue impronte. Come sulla collina più alta di Norimberga, il “monte delle Norne”, divinità del destino: nomen omen, direbbero i Latini. Qui le rocce sembrano essere state levigate dal passaggio di imperatori e soldati, fanti e cavalieri, musici e pittori. È il Kaiserburg, il castello imperiale, a vegliare dall’alto questa città di oltre mezzo milione di abitanti. Che è in Baviera senza essere Baviera, che stenta a celare l’identità di città libera imperiale, che ne ha forgiato la struttura urbanistica quanto il carattere umano.

La storia, discreta  eppure ingombrante, ha casa a Norimberga. Che ancora oggi scopre dal suo sottosuolo le vestigia del passato, come l’insediamento slavo dell’850 d.C. di cui sono attualmente in corso gli scavi, sotto la sede della Camera di Commercio, proprio davanti la sede municipale. Nel 1400 però è già un centro, tedesco, di importanza continentale: incrocio tra le strade tra Praga e la Francia e tra l’Italia e il Baltico, Re Carlo IV di Boemia con la notoria Bolla d’Oro ne fa la capitale ufficiosa dell’Impero. Un secolo dopo ospiterà le insegne imperiali, simboli sacri del potere temporale, tra cui la Spada e la Croce imperiale e la Lancia di Longino, quella che trafisse il cuore di Gesù sulla croce. II suo status di città libera è continuato ininterrotto fino al diciottesimo secolo, seconda data fatidica per il cammino nei secoli della città, quando fu annessa alla Baviera e perse, appunto, le insegne, trasferite a Vienna. Da cui ritornarono (presso l’Ospedale di Santo Spirito) col Terzo Reich: Hitler, che a Norimberga teneva le oceaniche manifestazioni del partito (ancora visibili le strutture realizzate per il Reichtagsparteigelaende, poco fuori città), voleva rinsaldare il legame col Sacro Romano Impero. E di qui alla terza data fatidica il passo è breve: è il 2 gennaio del 1945 quando le fortezze volanti angloamericane sferrano l’attacco mortale. Il 90% dell’abitato viene distrutto e la tragedia di Norimberga si affianca a quelle di Dresda, Amburgo, Berlino o Colonia. L’arrivo degli Alleati corrisponde alla nuova spoliazione delle insegne imperiali, o di ciò che ne resta. E al clamore del noto processo, in un palazzo che ospita ancora oggi, per gli interessati, un excursus storico su quelle vicende dell’immediato Dopoguerra.

Cosa, allora, resta oggi da vedere a Norimberga? Molto, moltissimo a partire da una città vivace e fiera della propria unica identità. Il Kaiserburg innanzitutto, con la sua sagoma dominante: oggetto in questi mesi di un massiccio intervento di restauro del ministero dell’Economia bavarese, che non ne preclude tuttavia la visita, con le sue torri e i rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli è il principe delle visite. Ai suoi piedi, si dipana la rete stradale della città medievale, con le sagome delle chiese gemelle di Sebald e Lorenz che segnano i due quartieri “rivali”: al loro interno, le ricchezze artistiche dell’epoca cattolica restano affisse, nonostante siano ormai chiese protestanti. Raro ed esemplare modello di tolleranza.

I quartieri sono separati dal fiume Pegnitz, in corrispondenza del quale le mura medievali formano ardite strutture: due sono le cerchie visibili, imponenti, con torri e bastioni. Ed abbracciano solenni la città vecchia, esercitando un perenne fascino sul visitatore, quasi a sfidarlo a cercare all’interno i gioielli che ancora nascondono. Il Ponte delle Carni, ad esempio: per evitare inondazioni, i ricchi borgomastri mandarono emissari a Venezia a comprare i progetti del Ponte di Rialto. Guardandone la struttura, che ha sorretto nei secoli il passo di mercanti e imperatori, la somiglianza emerge dall’acqua.

Ma il cuore di Norimberga pulsa nell’Hauptmarkt, la piazza principale: la vista della Bella Fontana, la Schoener Brunnen, incanta chiunque si affacci nel vasto spazio tra il Municipio (Rathaus) e la Frauenkirche, la Chiesa di Nostra Signora, ritrovo della comunità cattolica. E se ancora la voglia d’arte pervade l’animo dell’ospite, il consiglio è puntare alla casa di Albrecht Duerer: la visione dei luoghi abitati dal pittore che ha disseminato di opere i musei di mezza Europa sarà in grado di togliergli anche quest’ultimo languore. 

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