Quanto tempo fa Orbàn, premier d’Ungheria, veniva bistrattato per aver chiuso i confini, fermato i treni e mandato l’esercito a sorvegliare la frontiera? Quattro cinque giorni? Ecco: è bastato il tempo che quella massa (sulla quale il governo magiaro cercava di esercitare una pressione di dissuasione) è riuscita a filtrare verso il cuore dell’Europa, perché le stesse identiche misure venissero intraprese da Austria e Germania. Ora si ripristinano i controlli, in barba a Schengen: geschlossen!, dicono da Vienna a Berlino. E chiedono i documenti.

Non solo. L’Austria ha deciso di inviare l’esercito in supporto alla polizia che già sta operando lungo il confine con l’Ungheria nell’ambito della crisi migratoria. Vienna, così come già optato dalla Germania, ha deciso di introdurre controlli temporanei alle frontiere, anche se, come ribadito dal cancelliere austriaco, il diritto di chiedere asilo non è messo in discussione. Non si sa cosa questo significhi: evidentemente però quando l’Ungheria agiva per arrivare all’identificazione di chi aveva sul proprio suolo (come del resto impone il Trattato di Dublino stesso) non aveva tutti i torti.

Della stessa opinione è la Germania, che a parole continua ad assicurare che intende dare una mano ai rifugiati (ma solo ai siriani), dall’altro dopo aver visto sbarcare a Monaco di Baviera oltre ventimila persone in pochi giorni, ha cominciato a lamentarsi verso l’Europa di avere le strutture al collasso. E meno male che ne volevamo chiamare fino a mezzo milione all’anno…Tutto ciò mentre si apre il vertice Ue sulla “crisi dei migranti”. Dove evidentemente sarà difficile che, al di là delle traduzioni simultanee, l’Europa parli con una voce sola.  

robert vignola

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