La ripresa passa dalla nostra Baviera

Le aspettative di ripresa dell’economia italiana e dell’Eurozona sembrano crescere di giorno in giorno, grazie agli straordinari fattori di impulso entrati in scena nelle ultime settimane: il Qe della Bce, con il suo impatto sui tassi e sul cambio dell’euro, a cui si aggiungono il forte calo del prezzo del petrolio e l’attesa di un miglioramento del commercio internazionale, a cominciare da quello intra-comunitario.

Se il contributo aggiuntivo di tutti questi fattori alla crescita del Pil italiano fosse anche solo la metà di quanto potenzialmente stimato nei giorni scorsi dal Centro studi Confindustria, ci sarebbe da gioire. Significherebbe una crescita del Pil per il nostro Paese compresa tra l’1 e l’1,5% nel 2015, anziché solo dello 0,4-0,5% come indicavano le precedenti previsioni.

Anche la Banca d’Italia ha preannunciato un ritocco all’insù delle proprie proiezioni economiche per l’anno in corso. Le migliori aspettative del CsC e di Banca d’Italia si fondano non soltanto sui nuovi elementi favorevoli “esterni”. Infatti, nel frattempo si ha anche conferma di una stabilizzazione della domanda interna nel nostro Paese (con i consumi privati che iniziano a riprendersi e la nuova legge Sabatini che spinge gli investimenti in macchinari), mentre si intravvedono i primi possibili effetti delle riforme in alcuni ambiti, a cominciare dall’occupazione. Non ultimo, lo stesso settore delle costruzioni, il più prostrato dalla crisi, segnala qualche primo timido miglioramento del clima di fiducia, almeno a livello di indici Istat. Naturalmente è essenziale che il processo di riforme in Italia proceda spedito, in ciò il governo deve essere risoluto, cercando di cogliere appieno il momento congiunturale favorevole.

Se l’economia dell’Uem e quella italiana sono pronte a ripartire, la palla passa adesso principalmente all’industria, che è il vero asse portante dei tre maggiori Paesi dell’Eurozona, soprattutto di Germania e Italia. Ed è proprio dal Sud della Germania e dal Nord dell’Italia, dove l’industria ha il suo maggior peso, che può scoccare la scintilla di una solida ripresa che abbia al centro gli investimenti in ricerca, macchinari, tecnologie, infrastrutture.

L’analisi dello scrivente e di Alexander Kockerbeck sui punti di forza e di somiglianza delle industrie tedesca ed italiana, pubblicata dal Sole 24 Ore il 21 gennaio scorso, ha suscitato un ampio dibattito. Il nostro articolo ha messo in evidenza che tra le aree industriali “superspecializzate” dell’Ue prevalgono, per valore aggiunto industriale complessivo, numerose province italiane e tedesche, tra cui: Brescia, Bergamo, Wolfsburg, Vicenza, Boblingen, Monza, Treviso, Modena, Ingolstadt, Ludwigschafen. Questa comparazione territoriale ha una sua validità a prescindere dal fatto che – come qualche lettore ha osservato – le nostre province sono in generale più grandi dal punto di vista demografico di quelle tedesche. Intanto perché la classificazione delle province utilizzata nella nostra analisi è comunque quella ufficiale dell’Eurostat. Ma soprattutto perché se confrontassimo le nostre province di grado Eurostat Nuts3 con quelle tedesche di grado superiore Nuts2, allo scopo di “pareggiare” il confronto dal punto di vista demografico, nella maggior parte dei casi le Nuts2 tedesche non supererebbero più le soglie d’entrata da noi scelte per poter definire le aree industriali “superspecializzate”, cioè possedere una occupazione e un valore aggiunto industriale superiori al 30% dei rispettivi totali territoriali. E’ il caso, ad esempio, di Wolfsburg. Se comparassimo Brescia, che è una provincia Nuts3, non con Wolfsburg ma con la regione Nuts2 del Braunschweig, che include Wolfsburg, il Braunschweig avrebbe sì, a questo punto, una popolazione analoga a quella di Brescia ma non potrebbe più essere considerato come una regione industrialmente “superspecializzata” avendo una occupazione nell’industria inferiore al 30% (pari nel 2011 al 23%).

Né deve stupire il fatto – rilevato da altri lettori – che il valore aggiunto industriale di alcune province tedesche come la stessa Wolfsburg, ma anche Boblingen, Ingolstadt e Ludwigschafen sia assai più elevato di quello di province industriali italiane pur forti come Brescia, Bergamo, Vicenza, Monza, Treviso, Modena o Varese. Infatti, nelle quattro succitate province tedesche si trovano sedi e/o impianti di grandi gruppi multinazionali che, data anche la piccola dimensione delle province che li ospitano, ingigantiscono i valori medi in modo anomalo. Nella maggior parte degli altri casi, invece, non vi sono differenze così pronunciate tra il valore aggiunto industriale delle province italiane più specializzate nell’industria e il valore aggiunto industriale medio del resto delle province tedesche.

Una conferma dello scenario emerso dalla nostra precedente analisi si ha anche osservando la graduatoria assoluta dei valori aggiunti industriali per nazioni, per macroregioni Nuts1 e per regioni Nuts2. Innanzitutto, se confrontiamo la classifica del valore aggiunto industriale dei Paesi Ue, l’Italia è chiaramente seconda dopo la Germania. In secondo luogo, nella graduatoria delle macroregioni Nuts1 industriali più importanti dell’UE, tre Nuts1 tedesche, la Renania-Westfalia, il Baden-Wurttember e la Baviera, dominano ai primi tre posti, immediatamente seguite da due macroregioni italiane, il Nord Ovest e il Nord Est, mentre anche il Centro Italia va ad occupare la decima posizione.

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Prezzi e tariffe, Sabatini, Istat, Bce, Sud, Lander, Italia del Nord, Baden-Wurttember, Banca d’Italia, Eurostat, Alexander Kockerbeck, Europa, Nuts3, Braunschweig, Boblingen, Ludwigschafen, Oberbayern, Nuts2

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