Le giornate sono lunghe e vuote. Nel campo vivono centinaia di richiedenti asilo. Si va a scuola per imparare il tedesco. Non si può lavorare per i primi tre mesi di residenza in Germania. Un gruppo di curdi iracheni gioca a domino, sotto l’unico albero del campo. Ci sono curdi, kosovari, albanesi, afgani, iracheni ed eritrei. Ma i diversi gruppi etnici non interagiscono molto tra di loro.
Gli operatori umanitari vengono ogni giorno, in particolare si occupano dei bambini, li fanno giocare negli spiazzi polverosi del campo, cercano di spiegargli cosa sta succedendo. I container sono alti due metri e mezzo, sono disposti su due piani, al piano di sopra si sale con delle scale di ferro. In quindici metri quadrati vivono quattro persone.
Il campo sorge vicino allo stadio Imtech Arena, non lontano dal centro della città, ma isolato. Dalla stazione della metro Stellingen Arena si deve camminare venti minuti attraverso un parco, il campo è nascosto alla vista dei residenti, sotto a una collina verdeggiante, stretto tra un parcheggio, l’autostrada e la ferrovia. È circondato da alte recinzioni e di notte è illuminato da fari, come un campo da calcio. Alcuni poliziotti svogliati sono seduti a sorvegliare ai margini della recinzione.
L’entrata e l’uscita sono consentite, ma bisogna registrarsi ogni volta. I ragazzi hanno dei documenti temporanei d’identificazione con il loro nome e la loro foto. All’ingresso c’è una tabella con delle lettere, che i ragazzi indicano ai poliziotti tedeschi per comporre il loro nome.