Arrivavano da Landshut, un paesino della Baviera, e a condurli alla casa della signora Merkel è stato il sindaco di quel borgo, herr Peter Dreier. L’abbiamo sentita tante volte: «Li porti a casa sua». È la frase preferita di chi al bar si oppone ad ogni tipo di accoglienza: diffusa, normale o con contagocce. Ecco, il borgomastro eletto in una lista civica a destra della Csu bavarese «li ha portati a casa sua». A casa della Merkel. Ha messo i profughi sul pullman e ha imboccato l’autostrada per Berlino. Otto ore di viaggio con qualche inconveniente perché a partire erano stati in 54. Alcuni si sono dileguati durante le soste, uno è stato dimenticato nella toilette di un autogrill, ma poiché Dreier è teutonico ha costretto l’autista a tornare indietro a prenderlo.
Una mezza odissea per concretizzare un’idea che Salvini gli invidia di sicuro. Un viaggio surreale che si è concluso davanti a telecamere, giornalisti e fotografi assiepati sul marciapiede della Cancelleria. La Kanzlerin non ha ricevuto il sindaco, gli ha solo mandato a dire che «la ripartizione dei profughi è competenza di regioni e comuni e Berlino ha acconsentito gentilmente a offrire una prima accoglienza per la notte». Il cerino acceso è rimasto in mano al sindaco della capitale, Michael Mueller, che ha dovuto trovare un albergo per 33 (compresi il collega e l’autista) e pagarlo. Pare che si sia lamentato per la mancanza di solidarietà.
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