A Ingolstadt, sede della Audi, e un tempo città fortezza sul Danubio, hanno organizzato una mostra «Napoleone e la Baviera». Ed erano disperati: non riuscivano a trovare un autentico copricapo napoleonico a due punte da esporre. Un raro esemplare era da poco andato all’asta raggiungendo un milione e 900 mila euro.
In extremis è arrivata la notizia da Parigi: il simbolo di Bonaparte verrà spedito in tempo per l’inaugurazione domani 30 aprile (la mostra resterà aperta fino al 31 ottobre). Strano che il cappello sia un oggetto di antiquariato così raro e costoso: Napoleone ne consumava a dozzine, ogni anno ne ordinava almeno una quarantina, in diverse versioni a seconda delle stagioni. Quelli invernali che sfoggiò fino alle porte di Mosca erano imbottiti contro il gelo. Anche i soldati avevano in dotazione il copricapo dell’imperatore, ma in battaglia lo portavano di traverso, con le punte di lato, altrimenti non avrebbero visto il bersaglio a cui sparare.
Prevedo i commenti: la Baviera e Napoleone, che cosa c’importa? Ma la regione era importante ieri come oggi, ed è grande, da Kufstein al confine con l’Austria, sulla via che conduce in Italia, fin quasi a Francoforte, l’odierna capitale finanziaria del Continente. Anche il Sud Tirolo, in realtà, è più bavarese che austriaco. Infatti, nonostante quanto vogliono dare a intendere, austriaci e sudtirolesi mal si sopportano a vicenda.
I colori della bandiera greca sono quelli della Baviera, il bianco e l’azzurro. Ludwig I, quello di Lola Montez, grande amante delle opere d’arte italiane e delle italiane, volle mettere sul trono della Grecia, che gli europei, per ragioni strategiche, avevano sottratto all’Impero ottomano, il suo figlio minore, il diciassettenne Otto (che i greci, dopo pochi anni, costrinsero alla fuga). La Baviera era la più grande tra i piccoli, ed era schiacciata tra l’Austria e la Francia, e cercava di sopravvivere.
Fu Napoleone il primo gennaio del 1806 a decretare il regno di Baviera, che continuò ad avere un suo re, fino alla disfatta del Reich nel 1918. I bavaresi parteciparono alla campagna di Russia, e Napoleone li mise di retroguardia durante la ritirata, cioè in prima linea. Su trentamila bavaresi, ne tornarono a casa in cinquemila. Una tragedia generazionale se si pensa alla popolazione del tempo. Monaco non raggiungeva gli 80 mila abitanti. Nell’immaginario collettivo i bavaresi sono considerati all’estero come i tipici tedeschi, con calzoncini di cuoio e un boccale di birra sempre in pugno. Niente di più sbagliato. Se lo dite ai prussiani, tra cui vivo, si offendono. Sono meridionali, e da quasi italiani, dopo la campagna di Russia cambiarono casacca, e passarono con l’alleanza antifrancese. Napoleone si infuriò e promise di radere al suolo Monaco che si trova sulla strada per Vienna. Non fece in tempo: lo fermarono a Waterloo.
La storia della piccola grande Baviera ci riguarda da vicino. Alle battaglie napoleoniche prese parte, dalla parte opposta, anche una divisione di cavalleria napoletana. Anche i cavalieri campani furono mandati allo sbaraglio, molti fuggirono, gli altri morirono. Ma perché mai dovevano combattere per motivi sconosciuti in posti ignoti? Quando i francesi invasero il Regno di Napoli, difesero invece con coraggio le loro case dalle violenze e dai saccheggi degli invasori. I soldati napoleonici avevano divise da straccioni e combattevano scalzi. La prima cosa che facevano, dopo una vittoria, era di confiscare le scarpe dei civili. Combattevano magari nelle bande di Michele Pezza, conosciuto come Fra Diavolo. Ma dato che la storia la scrivono i vincitori, molti oggi credono che non sia mai esistito, e che sia un personaggio da operetta. Dalla Baviera al Golfo di Napoli, alla mostra di Ingolstadt si potrà conoscere meglio la nostra Europa. E per finire, un copricapo a due punte fu messo nella bara di Napoleone a Sant’Elena.
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