Il panettone migliore è solo quello di Milano?

 

liuti giancarlo

di Giancarlo Liuti

Siamo a Natale e vorrei fare un po’ di storia. Del Natale? Per carità, sarebbe troppo lunga e noiosa. E allora di che? Considerando che la ricorrenza della nascita di Gesù è via via diventata l’occasione di grandi mangiate e grandi bevute (pure Gesù, del resto, compì il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e della trasformazione dell’acqua in vino) ho pensato di fare la storia del panettone, un dolce quasi esclusivamente natalizio, e della birra, una bevanda non natalizia ma che inonda tutto l’anno e quindi anche gli ultimi giorni di dicembre. E che c’entra Macerata con la storia del panettone e della birra? Lo vedremo alla fine. Per ora mi limito a dire che Macerata – o meglio: il Maceratese – c’entra moltissimo.
Con l’indispensabile soccorso di enciclopedie comincio dunque dalle origini del panettone. All’inizio del Quattrocento il falconiere Ughetto degli Atellani che viveva nella contrada “Grazie” di Milano s’innamorò della figlia di un fornaio e per starle vicino si fece assumere da lui come garzone con l’incarico di badare alla pasticceria. Ma Ughetto era a tal punto invaghito di quella ragazza che per far colpo su di lei s’inventò un dolce mai esistito prima in nessuna parte del mondo, un dolce a forma di cupola con un impasto di farina, uova, latte, miele e infarcito di uva passa e di cosiddetti canditi, cioè di altri piccoli frutti ben cotti nel miele (il procedimento della canditura proveniva dagli arabi: rieccoli, nel Quattrocento, gli arabi, che oggi ci creano qualche problemino!). E quel dolce gli riuscì così bene da suscitare l’entusiasmo dei commensali e in particolare della figlia del fornaio, che, la stessa notte, gli si concesse anima e corpo.
Ma non basta. Sempre nel Quattrocento il cuoco di Ludovico il Moro, duca di Milano, preparò la torta per un sontuoso pranzo natalizio di corte ma disgraziatamente la torta gli si bruciò. Come sfuggire alla collera del duca, che gli avrebbe comportato perfino qualche frustata a torso nudo? In suo soccorso venne lo sguattero Toni che gli suggerì di usare le rimanenze della dispensa: un po’ di farina, un po’ di burro, un po’ di miele, quattro uova, una scorza di limone, uva passita. Portato a tavola – il cuoco e Toni occhieggiavano da dietro la porta tremando di paura – quel dolce, che essi chiamarono umilmente “panettone”, ottenne uno strepitoso successo. Passarono i secoli e ai tempi nostri la Camera di commercio di Milano ne ha registrato il marchio con tanto di disciplinare, come a dire che il nome “panettone” va attribuito esclusivamente alla milanesissima invenzione di Ughetto degli Atellani e di Toni, lo sguattero del cuoco di Ludovico il Moro, una pretesa, questa, che nelle altre parti d’Italia nessuno rispetta.
E veniamo alla birra. Ma – direte voi – cos’ha da spartire la birra col Natale? E non posso darvi torto. Coloro che la bevono, però, sono moltissimi e sempre di più anche da noi (proprio in questi giorni e proprio nel centro storico di Macerata, in vicolo Ferrari, è stata inaugurata una nuova birreria che si chiama “Fabric”) e immagino che la birra faccia la sua festevole comparsa pure nelle nostre familiari tavole natalizie. E ora la storia, che per questa bevanda inizia un po’ prima di quella del panettone: settemila anni fa! E sapete dove? In Iran, cioè fra i remoti progenitori dei musulmani (rieccoli, mannaggia!). Poi, forse sui barconi degli scafisti dell’alto Medio Evo essa giunse (a Lampedusa?), da migrante risalì lo Stivale e dilagò in tutta l’Europa settentrionale. In quale zona si iniziò a produrne in grande quantità? Specialmente in Baviera, tant’è vero che la prima fabbrica di cui si ha notizia stava nella città di Frisinga, e nel Cinquecento il Duca di Baviera ne stabilì il disciplinare (acqua, orzo, luppolo, lievito) e adesso la più famosa manifestazione celebrativa della birra si svolge ogni anno a Monaco con l’Oktoberfest. Ci sono stato, tempo fa, con amici. E non vi dico, la notte, lungo la Theresienstrasse, le decine e decine di persone che in preda ai fumi dell’alcol vomitavano, si attaccavano ai lampioni, crollavano a terra.

Vanni Valci, fornaio di Matelica

Vanni Valci, fornaio di Matelica

Se il panettone è milanese, la birra, dunque, è prima iraniana e poi bavarese. E che diavolo c’entra Macerata? Questo giornale l’ha già detto, ma ora lo ripeto. A Brescia, indetto dal “Richemont Club”, l’associazione internazionale che sostiene le eccellenze qualitative della panificazione, si è svolto un concorso fra i produttori italiani di panettone al quale ha partecipato anche il signor Vanni Valci, il cui forno si trova a Matelica (leggi l’articolo). I concorrenti erano trentasei, quasi tutti milanesi. E qual è stato, alla fine, il voto della giuria? Primo posto assoluto a Vanni Valci, come autore del miglior panettone d’Italia. Complimenti! La genialità, la fantasia e la tenacia dell’entroterra maceratese hanno avuto un riconoscimento quasi mondiale. Vi pare poco?

La Montelago Litha del birrificio Il Mastio di Urbisaglia

La Montelago Litha del birrificio Il Mastio di Urbisaglia

Ma di concorsi d’alto livello ce n’è stato un altro e ha riguardato la birra: il prestigioso “Brussels Beer Challenge” svoltosi nella città belga di Aversa con la partecipazione dei più quotati birrai europei, bavaresi in prima fila. Ebbene, due medaglie d’oro – da primi in classifica – sono state attribuite ad altrettanti produttori del Maceratese: una al “Mastio” di Urbisaglia per la birra “Montelago Litha” e una al “Mc 77” di Caccamo di Serrapetrona per la birra “Fleur Sofronia”. Come su Cm ha già spiegato Maria Stefania Gelsomini – salute! – le loro sono birre vive, non filtrate, non pastorizzate e nobilitate da una scrupolosa ricerca di materie prime anche del territorio. Che dire? Ripetere ciò che ho già detto per il panettone: viva il nostro entroterra!
Un mese fa gli amanti di questa bevanda si sono ritrovati a Caccamo per festeggiare gli “eroi” di ritorno dal Belgio e soprattutto per degustare alla spina quei capolavori. Poi, sul far della notte, chissà se si sono ripetute le scene della Theresienstrasse di Monaco. Non credo. Stavolta, infatti, si trattava di una cerimonia in onore di cose estremamente raffinate, eleganti e tali da imporre comportamenti che non si abbandonassero agli eccessi della voracità. A Caccamo, insomma, si celebrava l’ascesa al trono di due regine ed era di rigore se non l’abito da sera almeno la compassata signorilità delle grandi occasioni.

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