La scoperta nello scorso novembre delle 1.406 opere d’arte “degenerata” nel ripostiglio del pensionato Cornelius Gurlitt, a Monaco di Baviera ha catturato l’immaginario collettivo. Una storia dagli spunti narrativi perfetti, col suo connubio di arte, guerra, misteri e intrighi dove due temi spiccano per pari importanza: il saccheggio e la restituzione, l’ingiustizia e la riparazione differita.
L’ultimo film di George Clooney, The Monuments Men, gioca, ma con protagonisti eroi positivi, sulla stessa storia raccontando la straordinaria avventura dei 353 intellettuali che salvarono una moltitudine d’opere d’arte (oltre 5 milioni di pezzi) dai furti nazisti e dalle devastazioni della guerra. Ma di questa storia abbiamo già scritto in un altro articolo.
La cosa interessante è che la lotta dei Monuments Men continua ancora. Nel 2007, Robert Edsel, il filantropo che attraverso un libro ha riportato alla luce la vicenda ha creato una fondazione per la conservazione dell’arte (www.monumentsmenfoundation.org) che ha tra gli obiettivi proprio quello di continuare la lotta cominciata da quei 353 volontari del patrimonio artistico. E’ stato attraverso la fondazione di Edsel, ad esempio, che il Kimbell Art Museum in Texas ha scoperto nel 2011 che una delle sue opere rinascimentali, un busto di terracotta raffigurante probabilmente la marchesa di Mantova di Isabella d’Este, era parte di un gran numero di pezzi depositati nella famosa miniera di sale di Alt Aussee, in Austria, uno dei luoghi utilizzati dai nazisti per conservare le opere d’arte trafugate in Europa (tra cui innumerevoli capolavori dei musei italiani). L’inchiesta in questione ha rivelato che il busto era appartenuto a un medico svizzero, Otto Lanz. Dopo la sua morte, la collezione era entrata nel mirino di Göring e Hitler, il ministro della propaganda acquistò poi il pezzo nel mese di aprile 1941.
Ma nonostante i ritrovamenti (e quello in casa Gurlitt è clamoroso) e malgrado la presenza di tante opere d’arte trafugate dai nazisti (o frutto di vendite forzate) nei musei di Austria, Francia (qui secondo il NYT pare ve ne siano almeno 2mila) e Germania all’appello mancano ancora tanti capolavori. I most wanted fanno mostra di sé in scolorite immagini in bianco e nero nel sito della Fondazione Monuments Men, a formare un museo straordinario perduto nelle nebbie del tempo, forse perduto per sempre, dove, tra gli altri, troviamo un Caravaggio (Il ritratto di giovane donna), scomparso da un museo di Berlino e avvistato l’ultima volta nel maggio del ’45; e la famosa maschera di fauno di Michelangelo, rubata dai tedeschi tra il 22 e il 23 agosto del ’44 dal castello di Poppi; e un ritratto di giovane uomo di Raffaello, che Hitler volle per sè, mandando a confiscarlo dal museo di Cracovia, all’indomani dell’invasione polacca (1939) e una tempera di Botticelli, ancora un ritratto maschile, trafugata dal museo Filangieri di Napoli alla fine di settembre del ’43. Ci sono Bellotto e Canaletto in lista, e dei Monet e dei Cezanne, c’è Degas, e uno struggente van Gogh, una piccola tela scomparsa nel ’45 dal museo di Magdeburgo, nella quale il pittore si ritrae per intero con la sua attrezzatura da lavoro in un’assolata campagna; c’è la lunga parata di opere degli artisti considerati “degenerati”: Klee, Dix, Kirchner, Kokoschka, Liebermann, Nolde, Schiele (e probabilmente alcune di queste saranno ritrovate nella collezione Gurlitt) e ancora tanti maestri antichi: Benozzo Gozzoli, Cima da Conegliano, Bernardino Luini, Hans Memling, el Greco, Rubens, Veronese...
Ritovare queste opere sarebbe aggiungere loro un significato ulteriore, storia su storia per la memoria dei contemporanei e soprattutto del futuro. (a.d)
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