MONACO – Se il Bayern Monaco è la macchina perfetta, in campo e fuori, modello di gestione sportiva, di gestione del bilancio, di promozione del proprio calcio (e chi più ne ha più ne metta), lo stesso non si può dire riguardo al proprio numero uno, il presidente Ulrich Hoeness. Il quale è stato condannato dal Tribunale di Monaco di Baviera a 3 anni e sei mesi di reclusione per evasione fiscale.
Un verdetto pesante, soltanto mitigato dalla recente confessione di Hoeness. Vessato dal Tribunale di Monaco, nei giorni scorsi l’ex calciatore della Germania – campione d’Europa nel ’72 e del Mondo nel ’74 – aveva confessato al giudice i propri giochi di denaro, nella speranza di ottenere soltanto una sanzione pecuniaria. La richiesta di oltre 5 anni di carcere è stata in parte accolta: se dopo l’appello Hoeness verrà giudicato di nuovo colpevole, dovrà scontare interamente i 3 anni e 6 mesi in prigione.
Ma perché Hoeness era sotto inchiesta? Il numero uno del Bayern, proprietario di un’azienda produttrice di salumi e salsicce, avrebbe nascosto al fisco tedesco oltre 30 milioni di euro, 33,5 milioni per l’esattezza (al momento della sentenza ne sono stati contestati 28 milioni). Su questa somma, Hoeness avrebbe dovuto versare tasse per 3,5 milioni, cosa mai avvenuta.
La condanna di Hoeness non dovrebbe avere ripercussioni sul Bayern, la cui gestione è sana a tutti gli effetti. Uli, 62 anni, nei giorni scorsi si era detto profondamente dispiaciuto per il suo operato: «Voglio chiudere questo capitolo della mia vita. Non sono un parassita, ho donato milioni di euro in beneficienza». Con questa autoaccusa sperava di sfangarla. Troppo tardi, almeno per ora.