Germania, le “Pietre d’inciampo” spaccano la comunità ebraica

A Berlino, soprattutto attorno alla vecchia e alla nuova sinagoga, è impossibile ignorarle. Sono piastre di ottone minuscole, grandi quanto un sanpietrino, con una breve, toccante iscrizione. Si incrociano ovunque, davanti ai portoni e agli ingressi dove sono avvenute le deportazioni naziste. Recano solo il nome della vittima, la data di nascita, la data di deportazione e quella di morte. Solo nella capitale tedesca ce ne sono seimila.  

 

In tutto l’artista Gunter Demnig ne ha già incise cinquantamila, esportate anche in altri Paesi, in Italia, in Austria, in Polonia, ovunque siano arrivate le persecuzioni hitleriane (la numero 50mila è stata collocata a Torino in memoria di Eleonora Levi morta ad Auschwitz). L’artista di Colonia le ha chiamate «Stolpersteine», «pietre d’inciampo». Il senso è chiaro: fare in modo che nessuno possa dimenticare la dimensione delle persecuzioni, che si inciampi di continuo nel ricordo delle deportazioni. Ad oggi quello di Demnig è il più esteso monumento alle atrocità naziste del mondo. 

 

I divieti
 

Ma qualcuno è riuscito a farle vietare. E proprio nella città degli esordi del Fuehrer, delle prime violente scorribande delle camicie brune, dello sventato putsch nazista del 1922: Monaco di Baviera. 

 

Nel capoluogo bavarese le pietre d’inciampo sono bandite: dal 2004 Charlotte Knobloch, che le ritiene offensive, si batte perché restino confinate alle abitazioni private. Nel 2014 la capa della comunità ebraica di Monaco e dell’Alta Baviera ha spiegato il senso della sua guerra: «Mi fanno venire in mente le persone già buttate a terra che venivano prese a calci con gli stivali di ferro fino a farle montare sui camion che li deportavano. Persone rannicchiate, ferite, in fin di vita o già morte. Queste pietre possono essere bersaglio di sputi, sporcizia, graffi, escrementi animali o essere oggetto di gesti offensivi».  

 

La comunità monacense è compatta e appoggia la battaglia di Knobloch, così come le iniziative varie nate in questi anni contro le pietre d’inciampo che accusano i sostenitori di essere spesso contro Israele o l’artista che le ha inventate di fare soldi con l’Olocausto. Anche fuori da Monaco le pietre hanno fatto discutere: il capo della comunità ebraica di Amburgo, Daniel Killy, ha accusato Demnig brutalmente di «aver fatto i milioni con milioni di vittime». Inoltre lo stesso artista ha contribuito ad attirare l’odio di una parte della comunità su di sé con una gaffe mostruosa come l’utilizzo di termini nazionalsocialisti sulle placche. Su una pietra aveva scritto: «Gewohnheitsverbrecher», criminale recidivo, ma è un termine cancellato dopo il nazismo perché sottintende che qualcuno lo sia quasi geneticamente. 

 

Per ora il presidente della comunità ebraica tedesca, Josef Schuster, difende le Pietre d’inciampo: «personalmente sono dispiaciuto per la decisione del comune di Monaco». E il gruppo che si batte per introdurle anche a Monaco non si perde d’animo. Ernst Grube, sopravvissuto a Theresienstadt, ha raccontato ieri alla Sueddeutsche Zeitung che vuole una pietra d’inciampo da dedicare al padre di sua moglie. È indignato di doversi battere «per quella pietra minuscola», nella «capitale del movimento», nella città della «resistibile ascesa» del Fuehrer, come la chiamò Bertolt Brecht. 

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