Le scie chimiche? Gli Illuminati di Baviera? Niente al confronto del complotto dell’hacker di Renzi. Roba da far scattare la Procura di Firenze, in attesa che Dan Brown s’interessi della questione e dia alle stampe il suo “Codice (pin) della Leopolda”. E già, perché lo staff del premier ha perso le staffe, si perdoni il gioco di parole, davanti ad un grave attentato: il furto del selfie.
La faccenda risale a una quarantina di giorni fa: era precisamente il 7 settembre, a sera, quando le migliaia di followers che pendono dai tweet di Matteo sobbalzarono davanti agli schermi: una immagine ravvicinatissima del leader si appalesava alle 23.31. Certo, il soggetto già in partenza non è Raul Bova: ma proprio non era un bel vedere, peggio (assai peggio) dei fotogrammi con le smorfie da mister Bean che hanno sempre sul conto del presidente del consiglio. Poi l’infelice esito dell’autoscatto svanì, in pochi minuti, anche se leste dita di buontemponi d’ogni ordine e grado avevano già provveduto a salvarne provvidenziale copia nelle cartelle dei file personali.
Non se n’è saputo niente, fino a ieri. Quando un ben noto giornale, che di inchieste sa il Fatto suo, ha pubblicato la notizia capace di mettere in moto i defibrillatori di tutto Palazzo Chigi: la Procura di Firenze ha aperto l’inchiesta su Renzi. In qualità, per giunta, di parte lesa. Il ben informato quotidiano informava pure che la magistratura ha dovuto scomodarsi dopo l’arrivo di un esposto da parte dello staff del premier, ipotizzando addirittura una violazione del computer presidenziale.
Il che, al netto dei risolini, sarebbe allarmante: per una faccenda di spionaggio della Cancelliera Merkel, si è infatti rischiato qualche mese addietro un incidente diplomatico tra Germania e Usa. Tuttavia, come direbbe Flaiano, la situazione in Italia è grave, ma non seria. Perché pensare che il bene più prezioso che si possa trovare nel computer di un premier italiano sia un selfie venuto male, rende l’idea di quanto questa povera Patria sia disgraziata…
robert vignola
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