Dopo tre trionfi consecutivi in Coppa dei Campioni (’74, ’75 e ’76), nell’annata ’76-77 il Bayern Monaco comincia ad avvertire i primi scricchiolii, sintomi classici di un ciclo giunto ormai al termine: anche se i bavaresi, battendo i brasiliani del Cruzeiro, sollevano al cielo la Coppa Intercontinentale, diventando così la prima formazione tedesca a salire sul tetto del globo, in campionato, staccati di sette lunghezze dallo spumeggiante Borussia Moenchengladbach, assistono impotenti al tris dei Fohlen. Calato il sipario su una stagione comunque rispettabile, poi è il tempo di ammainare le bandiere: attratto dalle maliarde sirene della NASL, con annesso ingaggio da paperone, il “Kaiser” Franz Beckenbauer, capitano di mille battaglie durante i tredici anni di onorato servizio alla causa bavarese, compie la fatidica trasvolata dell’Atlantico. Ad assicurarsene le prestazioni sono i New York Cosmos. Il Kaiser è un ulteriore tassello della politica “galactica” condotta dall’ambiziosa franchigia newyorkese: la parata di stelle era già cominciata nel ’75 quando sulle rive dell’Hudson era sbarcato Pelè, per poi proseguire un anno più tardi quando a trasferirsi nella Grande Mela fu un crepuscolare Chinaglia, vestitosi di biancoverde per monetizzare il segmento finale di una carriera straordinaria.
Sin dalle prime giornate, la direzione imboccata dal Bayern non è quella giusta. Reduci dalla scoppola incassata con il Moenchengladbach, vittorioso per due reti a zero tra le mura amiche, dopo dodici tornate, seppure il distacco dal battistrada Schalke 04 non sia incolmabile (5 punti), è piuttosto nutrita la schiera di compagini che separano i bavaresi dai Knappen: decimi, i biancorossi di Dettmar Cramer, condottiero in due delle tre fortunate campagne europee dei primi anni ’70, leggono la targa delle varie Colonia, Kaiserslautern, Eintracht Francoforte, Eintracht Braunschweig, Fortuna Dusseldorf, Stoccarda, Borussia Moenchengladbach e Amburgo. Per continuare a coltivare ambizioni di vertice, è vietato fallire la gara casalinga con l’Hertha Berlino. Forse non più la squadra abbagliante che nell’anno di grazia ’74-75 era salita sul gradino d’onore del podio (miglior piazzamento assoluto per i biancoblu da quando esiste la Bundesliga), spaventando il più blasonato Borussia Moenchengladbach, ma comunque un avversario temibile.
Il sodalizio capitolino aveva appena voltato pagina, mettendosi alle spalle un periodo piuttosto increscioso della proria storia. Finita nella bufera nel 1971 per via di alcune partte scientemente aggiustate, il conseguente scandalo aveva portato i berlinesi sull’orlo del fallimento. A estremo malincuore, per scampare al crack finanziario, sull’altare del futuro fu sacrificato il Plumpe, altrimenti detto Stadium am Gesundbrunnen, vecchio impianto del club, nonchè autentico genius loci per intere generazioni di tifosi berlinesi: demolito nel 1974, è stato rimpiazzato da un quartiere residenziale. Tributo caro, quello versato dall’Hertha Berlino, ricompensato però dai risultati pervenuti negli anni successivi. Raggiunto il climax con il tanto insapettato quanto folgorante secondo posto raggiunto nel ’75, anche i campionati successivi disputati dalla Alte Dame risultano soddisfacenti: un undicesimo posto nel ’75-76, leggermente migliorato nella stagione successiva, con i capitolini capaci di scalare una posizione e chiudere in decima piazza.
E positivo è da riitenersi anche la reazione allo start nella stagione ’77-78. Alla vigilia della trasferta in quel dell’Olympiastadion, infatti, la ciurma di Kuno Klotzer – coach sulla cresta dell’onda in quanto approdato sotto la porta di Brandeburgo con ancora negli occhi la Coppa delle Coppe conquistata appena un anno prima alla guida dell’Amburgo – ha già messo del fieno in cascina, incamerando undici punti, soltanto uno in meno dei bavaresi: quattro affermazioni, tre pari e cinque sconfitte, recita lo score dei biancoblu, galvanizzati dal pieno di punti fatto a spese del Werder Brema, tramorito nell’ultima giornata con un secco 2-0 .
Il copione della gara di Monaco è scritto. Con il pallino di gioco ben saldo tra i piedi dei bavaresi, i capitolini si asserragliano a ridosso della propria area di rigore. Alta densità, maglie strette e ripartenze: è questo il piano di battaglia dei berlinesi. Per il Bayern, eccessivamente baldanzoso nel tentativo di scrollarsi di dosso i fantasmi di questo fosco scorcio di campionato, si rivela una trappola: alla mezzora è il peperino Gerhard Grau, detto “Katze”, ad impallinare per la prima volta Sepp Maier, facendo scendere un velo di rigoroso silenzio sull’Olympiastadion. Il leitmotiv non cambia nella ripresa, ed anzi, prima del triplice fischio finale arriva anche il raddoppio dell’Alte Dame. A graffiare, questa volta, è il sostituto del “Gatto”: il porterione del Bayern Monaco, numero uno della Germania campione del mondo nel 1974 – che, miracolato, uscirà vivo da uno spaventoso incidente stradale soltanto due anni più tardi, anche se non potrà più continuare a sorvegliare i pali dei Roten – verrà fulminato dal baffuto Berns Gernsdorff, cinico nel far rispettare la tanto crudele quanto ineludibile legge dell’ex.
Per il Bayern e Cramer sarà soltanto l’inizio di un tunnel lungo quattro partite, in cui i bavaresi verranno letteralmente sbriciolati: il capitombolo con il Duisburg (6-3), l’ennesimo tracollo casalingo nel derby con il Moanco 1860 (1-3) e, dulcis in fundo, il poker sevrvito dall’Eintracht Francoforte (4-0), metteranno in forte discussione la posizione dell’allenatore, arroventandone la panchina. Che ça va sans dire, salterà di lì a qualche giorno: defenestrato Cramer, il timone bavarese passerà nelle mani di Gyula Lorant, una delle tante stelle dell’Aranycsapat, che cercherà, con alterne fortune, di governarlo in piena tempesta. L’avvicendamento, tuttavia, non porterà gli esiti sperati. Una squadra usurata dal tempo e ormai incamminata sul viale del tramonto, nonostante l’immortale Gerd Muller trovi ancora la forza per sedersi sul trono dei bomber, in coabitazione con il Muller, Dieter, del Colonia (settima ed ultima volta per lui), conclude il campionato al dodicesimo posto: ben lontano dalle posizioni che contano*. Al fallimento domestico, seguirà anche quello in campo continetale: il cammino bavaerese si arresterà bruscamente agli ottavi di finale di Coppa Uefa, dove sarà l’Eintracht Francoforte a spuntarla nel derby made in Germania. Mentre l’Alte Dame, protagonista di una stagione sontuosa, riuscirà quasi ad emulare quanto fatto nell’annus mirabilis ’74-75: la pareggite, dieci pareggi in stagione, infatti, non impedirà ai berlinesi, trascinati a suon di goal (diciassette) da Karl-Heinz Granitza, di salire sul gradino più basso del podio e staccare così un pass per la Coppa Uefa dell’anno successivo.
Dal blog Calciofuorimoda