L’ALTRA SEMIFINALE E LE STRANE ALLEANZE
E ora Guardiola deve tifare per Mourinho
Il Real, oggi in campo col Dortmund, avrebbe più chance
di battere il Bayern in finale. E facilitare Pep a Monaco
Solo il più grande allenatore dell’ultimo decennio (José Mourinho) può aiutare l’artefice della più grande squadra dell’ultimo decennio (Josep Guardiola): impedire, cioè, che l’approdo a Monaco di Baviera si smagnetizzi e ridimensioni fino a perdere molto del suo senso. Il rischio, infatti, è che Guardiola approdi a un Bayern già issato dal vecchio Heynckes sull’Himalaya del calcio: archiviata da un pezzo la Bundesliga, quasi vinta la Coppa nazionale (finale con lo Stoccarda), la Champions porterebbe a un triplete memorabile, con lo stesso Heynckes ad affiancare proprio Mourinho e Guardiola tra i tecnici più vincenti degli ultimi anni.
Certo, nell’inedito «métissage» calcistico catalano-bavarese resterebbero diverse aspettative estetico-tattiche: la curiosità di vedere ulteriori varianti di possesso e pressing, di assetto e cadenza, di fusione tra potenza e velocità. Ma il Pep – nella sua coscienza affilata – sa bene che l’operazione nel suo insieme perderebbe peso a livello di sfida agonistica e di esperimento di avanguardia calcistica. Fino alle 20.45 di martedì sera, Guardiola – per scongiurare questa ipotesi – confidava ancora nei suoi antichi allievi, tifandoli non solo per l’immutato rapporto affettivo. Ma la caduta del Barça (salvo il materializzarsi di una quasi impossibile «manita» al ritorno, o di un metafisico passaggio ai rigori) gli ha bruciato la prima chance.
Una caduta, del resto, preannunciata in questi mesi da due riemersioni difficili con Milan e Psg, cariche di rintocchi allarmanti, e riconducibile sia a attenuanti contestuali (due gol da annullare, Messi scioccamente rischiato, l’assenza dei centrali di difesa) sia, soprattutto, a spiegazioni strutturali e di «lunga durata», con una squadra come un’onda che abbia toccato il vertice – cominciando quindi a frangersi- nella notte di Wembley 2011 (finale col Manchester), perdendo via via, per sottrazioni minime e quasi inavvertibili, molte delle sue qualità caratterizzanti. Il Barça di martedì sera – depotenziato in tutto: minor coesione, minor sincronia, minor motivazione, minor velocità esecutiva – è solo la deflagrazione visibile di un processo di erosione latente, dopo un’orgia di titoli di club cui vanno aggiunti quelli della nazionale roja (due Europei e un Mondiale).
Adesso, al Pep, non resta che sperare nel suo opposto simmetrico, il Real di Mourinho. Perché è vero che il Bayern, in teoria, può essere battuto anche dal magnifico Dortmund di Klopp (stasera nell’andata coi blancos, in una sfida «a specchio» tattico un po’ come quella tra Bayen e Barça); ma Guardiola sa bene che è un’ipotesi più remota, col Bayern nell’insieme più forte e più motivato (dopo le 2 finali già perse in tre anni) e con Heynckes determinato a desertificare il terreno al suo successore.
Come in uno di quei paradossi frastornanti della fisica o della logica, Guardiola sa che per poter sperare di riagguantare (e ri-sorpassare) il suo avversario storico, deve auspicarne il trionfo nell’immediato, con Mourinho che sarebbe l’unico coach a vincere tre Champions con tre club diversi (impedendo a Heynckes, nello stesso tempo, di raggiungerlo con Happel e Hitzfeld tra quelli che ne hanno vinte due con due club). Un paradosso che somiglia a un cortocircuito, come se i Lakers tifassero i Celtics, o come se Karpov tifasse Kasparov. Con l’angelico Guardiola – per stare alla contrapposizione manichea e caricaturale tanto diffusa, ma in questo caso metafora funzionale – costretto a chiedere una cortesia al Diavolo. E col Diavolo disposto – con un sorriso a fossette spiegate mai come ora confinante col ghigno – a concedergliela volentieri.
24 aprile 2013 | 18:48© RIPRODUZIONE RISERVATA