Continua il nostro viaggio alla scoperta dei giovani bitontini che hanno trovato la loro strada all’estero. È la volta di Emanuele Bonasia, classe 1987, da due anni residente a Monaco di Baviera. Prima di trasferirsi nella città tedesca il ventottenne bitontino ha studiato pittura, scultura, grafica e fotografia, prima al liceo artistico e poi all´Accademia delle Belle Arti, dove si è laureato con il massimo dei voti. Ha sperimentato diverse forme d’arte, con grande attrazione verso l’artigianato, lavorando il cuoio e praticando la pirografia anche su legno.
Grandissimo appassionato di cavalli e della natural horsemanship, sin da piccolo inizia a cavalcare e ad approcciarsi al loro mondo, cercando di capirne i comportamenti ed instaurando una relazione di empatia. Ha lavorato anche come coltivatore diretto, trattando biologicamente orti e campi, all’insegna del rispetto per la natura e per i suoi frutti, e poi come addestratore di cavalli. L’interesse per l’ambiente e per la natura, con cui ha avuto sempre diretto contatto, hanno segnato il suo modus operandi, rendendolo paziente, calmo, quasi imperturbabile. Oggi è aiuto insegnante in un laboratorio artistico artigianale ed ha allestito una personale, visitabile fino al 22 settembre nella sala espositiva della scuola di lingue Mundart-e.
Da quanto tempo è a Monaco e perché ha deciso di lasciare la sua terra d’origine?
«Sono a Monaco da due anni. Giú aiutavo mio padre con i fondi di proprietà e cercavo di farmi spazio con i miei interessi, ma non c´è risposta da parte del territorio. La vittoria piú grande che c è stata in Italia è stato l’annullamento degli interessi per le persone. Il pensare sempre e comunque alla pagnotta e mai alla semina per il futuro».
Quali difficoltà ha riscontrato all’inizio?
«Vita nuova, cultura nuova. Indubbiamente le difficoltà ci sono state, come è normale per ogni cambiamento, ma fra tutte c’è la questione della lingua. Noi italiani siamo famosi per non parlare lingue straniere ed io, non avendo mai nemmeno seriamente studiato l´inglese, mi sono dovuto dare da fare affinché riuscissi almeno all´inizio, a comunicare lo stretto necessario. Col tempo e seguendo un paio di corsi di tedesco, si è allargato lo spettro delle persone con cui comunicare. Il tedesco dunque, è ancora oggi un problema, ma cisto lavorando. Dopotutto come diceva Mark Twain “One life is not enough to learn german”. La Baviera è un posto fantastico».
Cosa fa attualmente nella sua nuova città?
«Arrivato a Monaco ho iniziato quasi subito a lavorare come stalliere in una fantastica scuola di equitazione vicino casa mia, dove ho maturato un´amicizia con la proprietaria, una signora speciale che salva da anni cavalli soprattutto dal Portogallo, per poi rieducarli con il metodo naturale e riuscendo a lavorarci dopo con i bambini. Qui ho avuto nuovi stimoli e ho deciso di riprendere il mio percorso di studi artistici che cinque anni fa avevo “abbandonato”. Da giugno ho iniziato a lavorare in una “scuola dei boschi”, una realtà purtroppo ancora poco conosciuta in Italia, come aiuto insegnante in un laboratorio artistico artigianale del legno e mantenendo la mia attivitá di creazione di oggetti con lo stesso materiale e in cuoio».
Qual è il suo sogno nel cassetto?
«Avere un pezzo di terra tutto mio dove poter vivere con qualche animale ed avere da che sostenermi. Mi piacerebbe insegnare quel che so e continuare ad apprendere molto di piú».
Vuol continuare a vivere a Monaco o tornerà a Bitonto in futuro?
«Bella domanda. Se me l’avesse fatta un anno fa, probabilmente le avrei risposto che volevo tornare quanto prima, magari non proprio a Bitonto. Amo la Puglia, è la mia terra, la mia mamma. Allo stesso tempo peró non so se riuscirei a tornarci a cuor leggero dopo aver vissuto in una realtà in cui è normale lasciare le auto aperte o i motorini in strada con le chiavi, dormire a piano terra con tutte le finestre aperte o lasciare una borsa incustodita anche per diversi minuti in un parco con diverse migliaia di persone e ritrovarla perché è la mia borsa e non quella di qualcun altro che si sente autorizzato a sottrarla. Il cancro della nostra terra è la rassegnazione al male e l’assoggettamento allo stesso».
Il ricordo più bello che ha della tua città d’origine?
«Tanti. Uno fra tutti l´odore dell´olio. Per 26 anni, in pratica da quando sono venuto al mondo, non credo di essermi mai perso una raccolta. Mi sono perso le ultime due e mi manca vedere negli occhi di mio padre che carezzava quelle olive per un anno custodite, la soddisfazione, che respiravo insieme a lui. E poi i miei cavalli. Per trasferirmi qui a Monaco ho dovuto venderli con la ripromessa di riprenderli con me in un secondo momento a stabilità raggiunta. Purtroppo sono stati rubati un anno fa, nessuno sa nulla, nessuno si preoccupa di nulla. Ed io da allora ho perso la mia pace».
Un consiglio per i giovani come lei che vogliono trasferirsi?
«Un consiglio? Partite per crescere e per conoscere. All´Italia manca questo. Da noi c’é una sola rassegnazione: tutto va male e tutto non puó cambiare, tranne ovviamente in campagna elettorale. Partite per guardare nuove realtà e far capire a chi rimane che quella non è l´unica strada. Sbugiardare chi ci mente è il primo passo per crescere. Basta lamentarsi, spegnete i televisori e cercate di informarvi da soli».