Tutto è bianco e azzurro e un po’ greco in Baviera. Biancazzurre le sei linee di metrò, con interni in finto legno come sui camper Hymermobil aspirazionali che qui si vedono nei boschi; e sedili e modanature di fòrmica come una Roma-Frascati vintage. E nessun tornello, o cancello, e invece dei piccoli vidimatori di biglietti più che altro simbolici. Tanto bianco e azzurro naturalmente nelle bandierine con lo stemma Wittelsbach, la casata che ha retto la Baviera per ottocento anni, prima come duchi e poi come re, col sovrano più abusivista e imaginifico del Novecento, quel Ludwig (1845-1886) che fece tanti castelli e fece rischiare il default alla sua Baviera, molto peggio di Varoufakis.
La bandiera dei Wittelsbach sventola su ogni casa e ogni ristorante e konditorei, e ha generato poi il bianco e azzurro di tante birre, della bandiera ellenica, essendo Ottone primo re di Grecia un altro zio del povero Ludovico, e naturalmente della Bmw (Bayerische Motoren Werke, fabbrica motori bavarese), anche se su queste autostrade girano soprattutto Audi, costruite sempre in Baviera ma più su, a Ingolstadt.
Ma questo stemma bianco e azzurro poi naturalmente campeggia anche alla Bmw Welt, sorta di lingottone accanto al parco olimpico tutto dedicato alla fabbrica motori bavaresi, con corpo a quattro cilindri disegnato per Monaco ’72, accanto al Museo Bmw che pare invece un copricerchio cascato per terra, e rovesciato. Almeno sei cilindri invece per tutti i modelli che si possono provare in un grande concessionario-museo, dunque parco giochi per adulti; e hostess che mostrano i gadget delle Rolls-Royce tipicamente inglesi (ombrelli che alloggiano in portiere customizzate), e tutti a dire: ammazza che brutte, buone solo per emiri e cinesi e rapper coatti.
Con Spirito dell’Estasi retrattile, però, per evitare scippi: la statuetta argentea infatti si capovolge e rientra nell’alveo del radiatore-partenone con un pulsantino; e vomitini forse per questa Nike di Samotracia un po’ automobilistica un po’ impiegatizia; lo scultore Charles Sykes infatti prese come noto a modello non una Vittoria mitica ma la segretaria e forse amante del secondo duca di Beaulieu, politico, cacciatore, soprattutto fondatore del Car Illustrated, tipo Quattroruote araldico d’epoca.
Intanto, su siti di aste specializzati in default, ecco una Silver Shadow blu presidenziale con bandiera biancazzurra appartenuta già ai colonnelli greci, con interni in pelle blu e radica chiara, e poi usata dal primo ministro Konstantinos Karamanlis (stimata da 80mila a 100mila euro, è stata venduta a 78mila in una già storica “vendita greca” del Christie’s dell’auto, Coys). Su siti specialistici turboliberisti, accanto ai lotti della vendita, commenti dei più cinici: ecco una rara Amphicar, auto galleggiante del 1962 (stimata 18-30mila, venduta a 42): «Se siete coinvolti nella crisi greca e attendete che i creditori bussino alle porte, quest’auto è l’ideale per prendere il largo, magari verso qualche isoletta ellenica».
Ma poi, sempre al Museo Bmw di Monaco, ecco anche una mostra sulla Mini, che naturalmente è molto greca: il suo disegnatore Alec Issigonis, qui in foto, con la regina che lo fa naturalmente baronetto e lo invita alle nozze della sorella Margaret il 6 maggio 1960, ecco l’invito, con la consueta formula: «Il lord ciambellano è comandato dalla regina di invitare…». Ma poi, Issigonis, con una storia proprio identica a quella del principe Filippo: entrambi vittime della guerra greco-turca del 1919-1922, entrambi vengono salvati dagli inglesi; il marito della regina Elisabetta, che essendo uno Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg è cugino dell’ultimo re di Grecia, Costantino, viene salvato lattante da una fregata britannica, narra la leggenda, in una cesta come Mosè, mentre Issigonis viene evacuato dai britannici forse senza cesta, ma sempre evacuato.
Intanto, nella mostra Mini, ecco un trionfo di tutti i marchi scippati dai buoni bavaresi ai cugini inglesi, con diatribe che vanno avanti da anni; e però niente Mirafiori o Pomigliano e casse integrazioni, anzi modelli di successo e operai che qui a Monaco escono dai tornelli a fumare le loro sigarette con aria che pare contenta, vicino all’ex complesso olimpico 1972; e anche tante sinergie, con tutto un discorso qui riportato del premier Cameron su quant’è bello che l’industria dell’auto inglese sia stata rilevata dai tedeschi anche se «certo, all’inizio avevamo delle perplessità». E una foto della principessa Anna non in Range Rover protocollare, bensì in Bmw X-5, argento.
A Herrenchiemsee, intanto, primaria reggia bavarese, una Versailles neanche tanto in miniatura su un lago nerissimo, mai abitata dal re Ludwig amante del cemento e del laterizio al chiaro di luna; qui, si sale al piccolo villaggio di Prien su un battello con poltroncine e tappezzerie verde tabacco dello stesso colore delle campagne tedesche che si sono attraversate; con bandiera naturalmente bavarese-greca; attraverso vetratine lucidissime del piroscafo, con effetto Hopper, si vedono dentro coppie di anziani con canetti che mangiano piccoli bratwurst e pretzl, seduti su divanetti di chintz rossi decorati a piccole casine e ancorette, tipo Naj-Oleari negli anni Ottanta. Il vecchio battello Luitpold a vapore, quello del film di Visconti, è invece fermo in secca, e verrà usato solo per occasioni speciali; e Luitpold è lo zio tremendo che prenderà la reggenza quando a Ludwig fanno il tso col famoso colpo di Stato; altro che troike e referendum, andranno proprio su a prenderlo, però a Neuschwanstein, coi ministri delle Finanze, perché aveva quasi dilapidato i soldi pubblici, non per sconti sull’Iva alle isole ma per star dietro a Wagner e alle sue manie di grandezza anche edificatorie. Da Luitpold discendono poi tutti i Wittelsbach attuali, adorati dalla popolazione, che a ogni rumor di referendum sarebbe pronta a riavere indietro la sua dinastia artistica.
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